La crisi del regime fascista

Luglio 1943: la crisi del regime fascista.

Nella notte tra il 24 e il 25 luglio del 1943 si tenne l’ultima riunione del Gran Consiglio del Fascismo, l’organo supremo del regime, presieduto da Benito Mussolini. Durante la riunione, venne votato il famoso “Ordine del giorno Grandi”, il documento che portò alla fine del regime fascista e che mise in moto il meccanismo che avrebbe portato all’uscita dell’Italia dalla Seconda guerra mondiale e all’inizio della guerra civile.

Pochi giorni dopo la resa delle truppe italiane in Africa settentrionale, un attacco aeronavale investì l’Isola di Pantelleria (11 giugno 1943). Le truppe inglesi occuparono così quell’importante posizione strategica nel Canale di Tunisia senza incontrare particolare resistenza. Nella notte tra il 9 e il 10 luglio, i primi contingenti dell’VIII Armata sbarcarono sulle coste meridionali della Sicilia, occupando Siracusa e Augusta; il 22 luglio cadde Palermo.

Alle 17,45 di sabato 24 luglio fu convocata la riunione del Gran Consiglio del Fascismo, volta ad affrontare questioni che non potevano più esser rimandate. Nel corso della notte, dunque, fu discusso l’ordine del giorno proposto dal ministro Dino Grandi, presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni: in esso si proponeva la decadenza della dittatura di Mussolini e il ripristino immediato delle istituzioni contemplate dallo Statuto Albertino (mai dichiarato decaduto), a partire dalla riassunzione, da parte della corona, dell’effettivo comando delle forze armate.

Messo ai voti al termine di una drammatica seduta che si prolungò inevitabilmente fino alle 3 del mattino del 25 luglio, l’ordine del giorno Grandi riscosse l’approvazione di diciannove membri del Gran Consiglio contro sette voti contrari e un’astensione. Mussolini non ebbe chiara e immediata percezione di quanto stava accadendo. Il reale significato di tale avvenimento fu compreso chiaramente solo da alcuni gerarchi (Federzoni, Bottai, Diano, De Marsico). Il regime fascista era agli sgoccioli.

Dino Grandi, primo fautore della fronda fascista, intendeva offrire alla corona un appiglio costituzionale per destituire irreversibilmente Mussolini sotto una parvenza di legalità. Confidava che il re avrebbe nominato un nuovo governo in grado di stabilire con gli Alleati contatti finalizzati alla creazione di una nuova situazione militare e politica. Consapevole della gravità della congiuntura, la corona colse l’occasione offertale dalla crisi formale del regime. Quando Mussolini, alle ore 15 del 25 luglio, si recò a Villa Savoia per conferire col sovrano, questi lo fece arrestare e poi relegare, sotto stretta custodia, in un isolato albergo del Gran Sasso. Vittorio Emanuele III attuò dunque una specie di colpo di Stato.

Il governo fu affidato al generale Pietro Badoglio, che dichiarò sciolto il Partito fascista ma annunciò, in un comunicato radio, la continuazione della guerra a fianco dell’alleato: “La guerra continua; l’Italia, nelle sue province invase, nelle sue città distrutte, mantiene fede alla parola data”. Si cercava in tal modo di guadagnare tempo facendo credere ai Tedeschi che nulla fosse mutato, mentre si avviavano negoziati segreti con gli anglo-americani al fine di giungere a un armistizio separato. Nulla in politica interna, nell’immediato, doveva cambiare. La censura politica non fu soppressa, i funzionari fascisti rimasero al loro posto, la Milizia fu incorporata nell’esercito regio, si ostacolò la ricostituzione dei partiti e si impedì ogni manifestazione di dissenso.

Questa la circolare emanata il 27 luglio dal generale Roatta, capo di Stato Maggiore dell’esercito: “Nella situazione attuale qualunque perturbamento dell’ordine pubblico, anche minimo e di qualsiasi tinta, costituirà tradimento e può condurre, ove non represso, a conseguenze gravissime; ogni movimento deve essere inesorabilmente stroncato in origine […]; le truppe procedano in formazioni di combattimento, aprendo il fuoco a distanza, anche con mortai e artiglieria, senza preavvisi di sorta, come se si procedesse contro il nemico”.

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